Cellule staminali pluripotenti indotte: nuove frontiere

a cura di: Maria Vittoria Benvenuto e Angela Deodato 

Le cellule pluripotenti indotte (iPSC) sono cellule in grado di autorinnovarsi e trasformarsi in vari tipi di cellula o tessuto dell’organismo. Nel 2006 un gruppo di scienziati giapponesi guidato dal professor Shinya Yamanaka  (vincitore per questa scoperta del premio Nobel per la medicina nel 2012) riuscì ad ottenere le cellule staminali pluripotenti indotte inserendo quattro particolari geni nei fibroblasti di un topo e, alla fine dell’anno successivo, in quelli umani tramite vettori retro-virali  in grado di riprogrammare il genoma di cellule specializzate (come i fibroblasti embrionali di topi o umani)  e di farle ritornare in uno stato simile a quello delle cellule staminali embrionali, ottenendo così la possibilità di generare diversi  tipi cellulari.

Le iPSC potrebbero essere una grande promessa per la cura di patologie oggi incurabili. Esse, infatti, oltre a costituire una fonte di cellule per la sostituzione e la rigenerazione di tessuti danneggiati  a causa di malattie, lesioni, difetti congeniti o invecchiamento, potranno essere usati per la creazione di nuovi farmaci. Ma ci sono ancora molti problemi da risolvere; alcuni studi, ad esempio,  hanno rivelato che le cellule derivate dalle pluripotenti indotte hanno un tasso di mortalità più elevato di quelle derivate da cellule staminali embrionali e la loro capacità di proliferazione è minore.  Inoltre, è stato recentemente dimostrato che il processo di riprogrammazione è responsabile di anomalie genetiche e danni sul DNA  quali la cancellazione o l’ingrandimento di regioni del genoma su alcuni cromosomi.

La produzione di cellule staminali indotte attraverso il metodo messo a punto da Yamanaka è un processo molto lento e con bassa efficienza, poiché solo l’uno per cento delle cellule adulte così trattate ritornano  staminali: è come se qualcosa impedisse alla maggior parte delle cellule riprogrammate  di diventare cellule pluripotenti indotte.

Recentemente però Yoach Rais, insieme ai suoi collaboratori, ha individuato una proteina che potrebbe rappresentare  l’ostacolo alla riprogrammazione delle cellule adulte; infatti, quando viene rimossa questa proteina, prodotta da un gene chiamato Mbd3,  il processo di produzione delle staminali diventa efficiente quasi al 100%.  Si pone, tuttavia,  un problema: il gene Mbd3 viene attivato dagli stessi geni utilizzati per riprogrammare le cellule.  Se da una parte quindi questi ultimi attivano la riprogrammazione cellulare, dall’altra la inibiscono. I ricercatori pensano di poter aggirare questo ostacolo non eliminando completamente il gene Mbd3, ma soltanto inattivandolo momentaneamente.

L’applicazione, sia su cellule di topo che su cellule umane, sembra dimostrare l’efficacia di questo metodo. Ma un ulteriore passo avanti, nel rendere la riprogrammazione di cellule adulte sempre più  efficiente e quindi utilizzabile per scopi terapeutici,  viene da una ricerca molto recente condotta in Giappone, a Kobe, nel Centro Riken per la Biologia dello sviluppo, da Haruko Obokata e colleghi che hanno messo a punto un metodo più semplice e molto veloce: se si immergono cellule della pelle o del sangue in una soluzione acida per 15 minuti,  queste sembrano dapprima morire, ma poi  si trasformano in cellule indifferenziate, molto simili alle staminali embrionali, capaci di generare tessuti diversi.  Gli autori hanno chiamato questo  processo STAP (stimulus-triggered acquisition of pluripotency), cioè acquisizione di pluripotenza innescata dallo stimolo. Le cellule STAP però sono diverse dalle staminali embrionali e delle iPSC,  perché  non sono in grado di autoreplicarsi e possono essere mantenute in coltura solo per pochi giorni, ma acquisiscono le caratteristiche di staminali embrionali  e quindi anche la capacità di autoreplicarsi se  vengono messe nelle stesse condizioni di coltura utilizzate per le staminali pluripotenti.  Da queste cellule i ricercatori sono riusciti ad ottenere un embrione di topo con regolare battito cardiaco.
Queste nuove scoperte aprono la strada  ad una maggiore comprensione del processo di produzione e funzionamento delle cellule staminali,  un presupposto indispensabile per una possibile applicazione in campo medico che potrebbe portare alla rigenerazione di organi umani e alla cura di malattie oggi non curabili.

  • Lascia un Commento

    L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


    5 − uno =

    È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>